Sensori e…rumore

Leggendo in questo periodo vari gruppi di discussione sui social media dedicati alla fotografia mi sono accorto che persiste in molti l’idea che il rumore che si vede nelle foto dipenda dal numero di pixel del sensore utilizzato: più è elevato più è alto il rumore. Questa idea diffusasi anni fa, all’inizio dell’era della foto digitale ad opera di un sito fotografico noto a livello mondiale, era stata poi smentita dai fatti, cioè l’osservazione delle foto, e dalle misure di alcune riviste e siti online che avevano chiarito i termini del problema.
Ora però ha ripreso a diffondersi spesso a causa dell’inesperienza di tanti nuovi fotografi che sentono alcune voci sull’argomento e le amplificano e diffondono, senza avere ben chiari i meccanismi per i quali si origina e si vede il rumore.
Spero con questo articolo di chiarire, per chi mi legge, come stanno veramente le cose.

Per farlo però devo ritornare indietro nel tempo e chiarire un concetto fondamentale nella fotografia che è quello di ingrandimento.
Quando fu inventata la fotografia nel diciannovesimo secolo e fino agli inizi del ventesimo sono state sempre usate per la sua realizzazione lastre in vetro di grande formato cosparse degli elementi sensibili a base di argento, che venivano montate in macchine di grande formato costruite in legno e producevano negative di grandi dimensioni. Questo ovviamente comportava un uso solamente statico delle fotocamere, in studio, ma anche in esterni. Le foto erano poi stampate su carta sensibile con la tecnica del contatto ed avevano le dimensioni della lastra con la quale erano state scattate. Esistevano fotocamere che usavano lastre anche di 24×36 cm; qualcuna è fabbricata ancora oggi come prodotto di nicchia.
Col progredire della tecnologia però furono sviluppati sistemi diversi per rendere la fotografia più portatile, comoda e accessibile. Il primo passo fu lo sviluppo della pellicola fotografica che prevedeva di applicare il materiale sensibile, emulsione, su un supporto di tipo cellulosico arrotolabile. Le pellicole erano state inventate per ridurre le dimensioni delle fotocamere e renderle più facilmente portatili, quindi il formato delle foto realizzate su questo supporto era ben più piccolo di quello delle lastre. Uno dei formati più diffusi agli inizi, denominato 120, con pellicola protetta dalla luce tramite carta avvolta intorno al rullo consentiva al massimo foto di formato 6×9 cm, ma fu usata anche per formati più piccoli come 6×6 e 4,5×6. Questo consenti di produrre fotocamere veramente portatili, alcune addirittura quasi tascabili con un soffietto che si apriva per l’uso e proteggeva la pellicola nella fase di scatto.
Nel 1914 poi un geniale inventore, Oskar Barnack, prendendo spunto dalla realizzazione di pellicole di formato ancora più piccolo per l’uso cinematografico detta 35 mm, realizzo una fotocamera ancora più piccola e leggera la Leica che produceva su questa pellicola foto delle dimensioni di 2,4×3,6 cm. Le Leica si sono diffuse ampiamente nel mondo dei fotografi perché erano le uniche fotocamere veramente portatili e sono ancora prodotte oggi, seppure con sensori digitali, con lo stesso schema di quelle di oltre 100 anni fa.
In pochi anni quindi si era passati da foto di formato di 24×36 cm a foto da 2,4×3,6 cm con una riduzione da 10 a 1.
Chiaramente negative così piccole non potevano essere stampate così come erano, anche se in alcuni casi le foto 6×9 da pellicola 120 lo erano. Se si volevano foto più grandi bisognava ingrandirle e da qui nasce il concetto dell’ingrandimento. Per farlo furono realizzati degli appositi apparecchi, detti appunto ingranditori, che tramite una fonte di luce ed un obiettivo proiettavano le negative su una superficie più grande sulla quale si poneva la carta sensibile per la stampa.
lasciando perdere gli ingranditori e la stampa si deve invece capire un concetto fondamentale, l’ingrandimento. Più è piccola la negativa più è necessario ingrandire la sua proiezione a parità di stampa. Questo comporta che maggiore è l’ingrandimento e maggiormente sono ingranditi tutti i difetti e le imprecisioni impresse sul negativo e ugualmente maggiormente è ingrandita la “grana” della pellicola (l’equivalente del “rumore” nel digitale) che è in pratica costituita dai granuli di argento che compongono l’immagine derivante dallo sviluppo chimico. Ugualmente più si ingrandisce la negativa più si diluiscono i dettagli registrati su di essa e si ha una minore nitidezza.
Questo comporta che foto scattate con pellicole e formati più piccoli, come il 35 mm con formato 2,4×3,6 cm (detto anche “piccolo formato”), hanno una qualità inferiore a quella ricavabile da negative più grandi,  ad esempio di formato 6×9 cm su pellicola 120, il tutto dovuto al maggiore ingrandimento necessario a parità di formato di stampa. La qualità delle foto ottenute dai grandi formati, tipo 24×36 cm, con stampa a contatto è restata, e resta, sempre insuperabile.
La cosa era perfettamente nota ai fotografi dello scorso secolo che usavano la pellicola e stampavano le foto, che ne erano ben consapevoli e che quando cercavano la massima qualità, e potevano permetterselo, usavano fotocamere 6×6 o 6×9. Il 35 mm però si diffuse di più per la sua maggiore portatilità, tanto e vero che dagli anni 60 in poi, con le reflex, soppiantò i formati più grandi anche per uso professionale.

Con il passaggio al digitale, ad inizio secolo, la situazione si ripropone nello stesso modo. Più il sensore è grande migliore dovrebbe essere la qualità delle foto a parità di dimensioni di visualizzazione su schermo o di stampa perché soggetta ad un minore ingrandimento, ma c’è qualcosa che complica le cose, cioè il numero di pixel.
Infatti a parità di dimensioni di un sensore le varie realizzazioni possono avere numero di pixel diversi. Come influisce questo sulla qualità d’immagine e sul rumore e come si rapporta con l’ingrandimento?
Per spiegarlo è necessario capire come vengono osservate le foto digitali e anche che cosa è il rumore.
Normalmente le  foto sono visualizzate sullo schermo di un pc (non considero gli smartphone perché per le piccole dimensioni degli schermi non consentono un’osservazione accurata e sufficientemente dettagliata) ad immagine intera, quella che sia la grandezza dello schermo, per vedere l’intera foto. In qualche raro caso vengono anche stampate. Su uno schermo però è possibile anche osservare un’immagine ingrandita, facendo corrispondere, ad esempio, ciascun suo pixel ad un punto sullo schermo; è quella che viene definita visualizzazione al 100 % o 1:1. In questo caso è evidente che un’immagine con più pixel viene vista più grande di una con meno, indipendentemente dalle dimensioni del sensore da cui proviene. Per chiarire faccio un esempio: immaginiamo di visualizzare su uno schermo da 27 ” con risoluzione 4K, 3840×2160,
quattro foto provenienti da fotocamere con sensore fullframe da 12, 24, 50 e 100 Mpx (quella da 100 ancora non c’è, ma ci arriveremo presto). Uno schermo di questo tipo ha una dimensione orizzontale di circa 60 cm e verticale di circa 33 (rapporto 16:9). La foto da 12 Mpx, in formato 3:2, ha sul lato più lungo 4256 pixel e su quello più corto 2832; visualizzata al 100 % sullo schermo assumerà una dimensione virtuale (virtuale perché non può essere vista interamente sullo schermo che ha meno punti di quanti sono i pixel della foto) di circa 66,5×43,3 cm con un ingrandimento rispetto a quanto registrato sul sensore 3,6×2,4 cm  di 18,5x. Quella da 24 Mpx misura 6000×4000 e assumerà le dimensioni virtuali di circa 94×61 cm con un ingrandimento di 26x, quella da 50 misura circa 8700×5800 con dimensioni virtuali di 136×89 cm e ingrandimento circa 38x, infine quella da 100 misura circa 12300×8200 con dimensioni virtuali di 192×125 e ingrandimento 53x. E’ evidente quindi che una foto da 100 Mpx se osservata su uno schermo al 100 % è ingrandita quasi 3 volte di più di una da 12 Mpx. Questo comporta che tutti i difetti della foto sono ingranditi, compreso l’eventuale rumore.
Questo è il modo di osservare le foto di quelli che dicono “più pixel più rumore”.
Riguardo al rumore questo si genera principalmente per due fenomeni. Il primo è insito nello stesso sistema con cui i pixel raccolgono la luce. Questa è costituita da fotoni che incidono sulla superficie di ciascun pixel generando un segnale elettrico. Più questo è piccolo più è probabile che, per fenomeni spiegati ottimamente dai fisici e che qui non sto a ripetere, alcuni fotoni ad esso indirizzati ne colpiscano un’altro vicino, oppure vadano a finire dispersi nello spazio fra l’uno e l’altro pixel generando un’alterazione ed una disuniformità del segnale raccolto dal sensore che si esplicita nel rumore. Un altro fenomeno che genera rumore deriva invece dalla circuteria che raccoglie i segnali dai singoli pixel. Il rumore si manifesta con puntini scuri (rumore di luminanza) e con puntini colorati più fastidiosi (rumore di crominanza).
Il primo fenomeno può essere ridotto rendendo i pixel più grandi possibile eliminando o riducendo gli spazi fra di loro, ponendo delle microlenti davanti a ciascun pixel per raccogliere il massimo della luce possibile e anteponendo l’elemento sensibile alla circuteria elettronica (sensori BSI cioè retroilluminati) per fargli ricevere più luce. Il secondo con un miglioramento dei circuiti di lettura dei pixel.
In conseguenza di questo si vede che per valutare il rumore di sensori con numero di pixel differenti sia necessario tenere conto oltre che della loro dimensione anche del loro livello di tecnologia.

Tornando alla valutazione dell’impatto del rumore sulle foto si deve dire che queste non sono scattate per essere poi viste un pezzo alla volta ingrandite al 100 % sullo schermo, ma per essere viste nella loro interezza sullo schermo o in stampa, prescindendo ovviamente dai ritagli che si potrebbero effettuare per motivi artistici ed espressivi. Considerato questo e tornando all’esempio delle foto da sensori fullframe di stessa tecnologia da 12, 24, 50 e 100 Mpx viste su uno schermo 4K da 27 si vede che tutte viste intere subirebbero lo stesso ingrandimento di circa 13,5x indipendentemente dal numero di pixel. Quella da 100 Mpx però conterrà un dettaglio molto maggiore di quella da 12 e potrà essere stampata volendo a dimensioni molto più ampie. Il rumore essendo ingrandito allo stesso modo sarà uguale per tutte le quattro foto (nella pratica in quella con maggior numero di pixel spesso se ne vede meno).
Lo stesso ragionamento può essere applicato a foto provenienti da sensori più piccoli per i quali vale lo stesso discorso fatto per le pellicole: più è piccolo il sensore più si dovrà ingrandire la foto. Tenendo conto che l’ingrandimento sarà maggiore il rumore sarà più visibile. Per foto visualizzate a pieno schermo, su un monitor da 27″ con risoluzione 4K, da un sensore APS l’ingrandimento sarà 21,5x, da un M43 25,5x e da uno da 1/2,3″ 72,5x. Questo spiega facilmente perché le foto fatte con sensori molto piccoli sono di qualità inferiore ed evidenziano più rumore di quelle scattate con sensori più grandi, anche se avessero dei pixel di dimensioni simili, cosa in realtà impossibile.
E’ vero che normalmente gli obiettivi usati per i formati più piccoli hanno maggiore risoluzione di quelli per i formati grandi, ma questo non compensa totalmente la minore dimensione del sensore.
Se il sensore è più grande invece l’ingrandimento è inferiore, per un medio formato 33×44, sempre sullo stesso schermo, è 10x e quindi la sua qualità percepita è migliore.

Se si volessero stampare le foto le cose non cambiano: se si stampassero le foto che si è ipotizzato di scattare con 12, 24, 50 e 100 Mpx al formato A3 (42×29,7 cm) l’ingrandimento sarebbe sempre circa 11,7x considerando il lato più lungo. Con quella da 12 Mpx però si stamperebbe a 257 dpi mentre con le altre si supererebbero i 300 consigliati per una visione ravvicinata 30-35 cm, con una maggiore nitidezza e lo stesso livello di rumore, se  fosse presente. Naturalmente già una foto di queste dimensioni si guarderebbe da una distanza maggiore. Con le foto con maggior numero di pixel si potrebbero poi realizzare stampe più grandi. mantenendosi sempre a 300 dpi: con quella da 24 Mpx si potrebbero realizzare stampe da 51×34 cm, con quella da 50 74×49 cm e con quella da 100 104×69 cm. Tenendo conto poi del fatto che stampe di queste dimensioni si guardano da molto più lontano che i 30-35 cm si potrebbero eseguire con un valore di dpi inferiore e quindi con dimensioni ancora più grandi percependo visivamente lo stesso rumore.

Queste considerazioni sono supportate dalle misure fatte sui sensori come quelle che fino a qualche tempo fa faceva la rivista Tutti Fotografi e che continua a fare DXOMark, oltre che dalle misure da me effettuate e dal confronto fra migliaia di foto di prova scattate.

In particolare pubblico a confronto le foto scattate con le medio formato Fujifilm GFX100 da 102 Mpx e GFX50R da 51 Mpx e quelle con le fullframe Sony A7R IV da 61 Mpx, A7R III da 42 Mpx e A9 da 24 Mpx.
Le due Fujifilm hanno sensori di tecnologia diversa, la GFX100 BSI-CMOS e la GFX50R CMOS, ma un raddoppio del numero dei pixel potrebbe preoccupare chi sta attento al rumore. Le Sony invece sfruttano tutte la stessa tecnologia BSI-CMOS. Le foto Fujifilm sono state scattate per la GFX50R con lo zoom 100-200/5,6 alla focale di 100 mm e per la GFX100 con il 110/2,0, quelle Sony tutte con il 24-70/2,8 alla massima focale. Per tutte la sensibilità usata è stata 12800 ISO.
Le foto sono state tutte ridimensionate a 2160 pixel di altezza in modo che possano essere viste su uno schermo da 27″ 4K al 100 % di ingrandimento interamente.

Come si vede nelle foto delle Fujifilm la GFX100 sembra avere meno rumore della GFX50R come è corretto per il suo sensore con una migliore tecnologia. Le tre Sony invece mostrano un rumore simile, nonostante la A7R IV abbia più del doppio dei pixel della A9.

Pubblico anche i ritagli delle foto originali senza ridimensionamento dai quali si vede il maggiore ingrandimento man mano che aumenta il numero di pixel.

Nei ritagli al 100 % delle Fujifilm non si vede gran differenza, mentre in quelli delle Sony la A9 ha meno rumore della A7R III che ne ha meno della A7R IV. Questo è però perché si vedono ad ingrandimenti differenti.

Ridimensionando tutte le foto in modo che abbiano un numero di pixel uguale a quella che ne ha meno, 24 Mpx della A9, il risultato non cambia. La migliore delle cinque foto è comunque quella della Fujifilm GFX100 da 102 Mpx la quale dimostra che il medio formato è superiore al fullframe, mentre è quella che secondo l’opinione di alcuni dovrebbe avere più rumore perché ha la densità di pixel maggiore ed i pixel più piccoli di tutte le altre.

Non è possibile fare un analogo confronto per il formato APS perché tutte le ultime fotocamere di questo formato hanno una risoluzione standardizzata di 24 Mpx, tranne le Canon EOS 90D e M6 III che però non ho ancora provato. Anche per il formato M43 tutte le novità degli ultimi 3 anni hanno 20 Mpx, mentre per le compatte e le bridge con sensori di formato inferiore non vale la pena di farlo.

Quanto detto spiega abbastanza bene il rapporto fra sensori e rumore. Ci sono ancora quelli convinti che un sensore con più pixel, a parità di dimensioni, abbia un rumore più alto, supportando la cosa con i fenomeni di raccolta della luce sui singoli pixel, ma questi si dimenticano di considerare che le foto non sono costituite da un solo pixel, ma dall’insieme di tutti e che vanno guardate nella loro interezza e non nel dettaglio ingrandito di pochi pixel, cosa che non ha alcun senso.

3 pensieri riguardo “Sensori e…rumore”

  1. Ennesima riconferma, della tua preparazione, esperienza, pazienza e bravura nello spiegare a tutti, quello che avevi già scritto sul tuo blog gli anni scorsi e che ora era giusto puntualizzare, chapeau !
    Resti sempre un punto di riferimento

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