Come finisce una leggenda

Bayer pixel binningI miti e le eggende fanno parte della cultura dell’umanità.
Anche la fotografia ne è piena. Una delle più antiche narra che una volta, nell’era arcaica e tanto tempo fa, la fotografia nacque ad opera di maghi che con i loro poteri fecero per incantesimo in modo che sottili striscioline di plastica arrotolate e inserite in un apposito e magico macchinario, riuscisero a farci vedere scene del mondo reale come le avremmo potute vedere in un sogno.
Non si sa se ciò corrisponda a verità, nelle leggende il reale si confonde con l’immaginario, è certo però che gli antichi guardassero queste immagini non direttamente, ma rappresentate, sempre attraverso procedure magiche e usando misteriose pozioni, tanto potenti da dovere essere usate quasi al buio, in stanze appena illuminate da misteriose luci rossastre, per non svelare la loro potenza, su appositi fogli di papiro o forse carta i cui resti però non sono stati mai rinvenuti nelle piramidi. Questi fogli avevano delle dimensioni che ben si adattavano al formato delle cornici da appendere ai muri delle case indipendentemente dal fatto, come ci informano le fonti delle antiche riviste, che fossero ottenute con un magico macchinario portato in una tasca o in una piccola bisaccia o da uno trasportato su un carro. L’unica differenza era che il potere evocativo che faceva vedere la realtà nelle cornici contenenti i fogli era più grande se la macchina magica e la striscia o la lastra utilizzata erano più grandi. La spiegazione di ciò che davano gli antichi era che più grande era la macchina e più grande era la magia che essa emanava.

Col passare del tempo ed il cambiamento di era, dal periodo analogico al quello digitale, le cose sono cambiate profondamente e non si è creduto più alle vecchie leggende. Sorsero innumerevoli nuovi profeti e guru che si assunsero il gravoso compito di spiegare al popolo ignaro del cambiamento le verità e le regole della nuova era. Uno dei più attivi si manifestò in terra d’Albione e prese il nome suggestivo di DPReview.
Le immagini infatti nella nuova era digitale non erano più create da maghi che agivano nell’ombra di stanze buie a malapena illuminate da una luce rossastra, ma da piccoli gnomi, detti pixel alloggiati in un apposito spazio denominato sensore delle nuove e moderne apparecchiature destinate a catturare le immagini. Naturalmente poichè lo spazio dentro queste apparecchiature è limitato più gnomi, o pixel, erano contenuti nel sensore più questi dovevano essere piccoli. Questi pixel agivano catturando dei folletti, detti fotoni, che si aggirano nell’aria emanati dal luogo, appellato stranamente soggetto, di cui si voleva catturare l’immagine. Naturalmente più gli gnomi erano piccoli meno folletti riuscivano a catturare e più si pensava che facessero confusione; qualche volta un folletto che spettava ad uno veniva catturato da un’altro ed allora si pensava che si accendessero feroci dispute creando forte rumore. Poco importava alla fine che tutti i folletti che arrivavano nello spazio occupato dagli gnomi, cioè il sensore, venissero catturati: più gli gnomi erano piccoli e più si credeva che facessero confusione perdendo un buon numero di folletti. Si attribuiva quindi la confusione ed il rumore solo alle dimensioni degli gnomi, detti pixel, indipendentemente dalle dimensioni dello spazio a loro disposizione detto sensore, anche se ai profani appariva evidente che avendo più spazio a disposizione gli gnomi, per quanto piccoli potessero catturare un maggiore numero di folletti o fotoni.
Come in tutte le ere precedenti comunque furono definite delle regole e dei dogmi. La prima ed inderogabile regola che sovvertiva quanto erroneamente credevao le genti primitive dell’epoca delle leggende, era che le immagini non dovessero più essere rappresentate su fogli di papiro o di carta. Questo non fu proclamato un vero e proprio sacrilegio, ma certamente un comportamento infamante. No le immagini dovevano essere viste solo su appositi apparecchi, simili a specchi e detti monitor, su cui potevano permanere per pochi secondi. Questo perchè rimanessero appannaggio solo di chi le aveva create e non potessero avere diffusione presso coloro che erano ignari delle esoteriche procedure necessarie a crearle. Altra regola inderogabile che più gnomi, o pixel, avessero catturato l’immagine trasportata dai folletti, o fotoni, più questa immagine dovesse essere rappresentata in grande sugli specchi, o monitor, basandosi sulla democratica regola che ogni pixel dovesse trovare posto su un punto pel monitor detto dot. Poichè i monitor non avevano abbastanza posto per tutti i pixel fu creato, da altri maghi detti informatici, un apposito strumento, detto mouse, in grado tramite una magica freccia, di indicare ai pixel da che parte uscire per fare posto ad altri in modo che tutti avessero prima o poi l’onore di essere presenti sul monitor.
Questi monitor dovevano poi essere scrutati in adorazione da chi aveva creato l’immagine alla ricerca dei pixel più cattivi ed indisciplinati che avendo catturato meno fotoni avevano fatto più confusione e rumore. Tutto ciò con lo scopo di sottoporli alla santa inquisizione dei test ed all’ignominia della maledizione “più pixel più rumore”.
In questo si distinse particolarmente il più famoso dei guru, il già citato DPreview, che diffondeva presso il popolo degli adoratori di immagini, detti fotoamatori, i santini, grandi come francobolli, che rappresentavano la santità o l’ignominia dei pixel e dei sensori che li ospitavano.
Poco riuscirono ad influire alcune voci solitarie che da qualche forum, luoghi collettivi di invettiva, o da qualche blog, luogo di meditazione e riflessione, alcuni diffondevano sostenendo che se anche gli gnomi, o pixel, erano piccoli e ciascuno catturava pochi folletti, o fotoni, ma se tutti insieme alloggiavano in un sensore più grande su cui arrivavano più folletti, o fotoni, complessivamente ne catturavano di più sovrastando così meglio la confusione ed il rumore di quanto potevano fare pixel più grandi in uno spazio, o sensore, più piccolo dove arrivavano meno fotoni.
Anche di fronte al conteggio, detto misure, delle liti cioè della confusione e del rumore generato dai sensori contenuti nelle magiche apparecchiature che creavano immagini, effettuato da una solitaria rivista “Tutti Fotografi”, messa all’indice dai più ortodossi, i guru capeggiati da DPReview non si convincevano.
Poi, come già successo una volta, anche se in questo caso è poco probabile che si avvenuto sulla via di Damasco, avvenne il miracolo e l’illuminazione: il guru DPReview si è convertito ed ha annunciato ai suoi fedeli la buona novella.

Riporto alcuni passi dell loro sante parole scritte nello strano idioma dei guru detto inglese:

“Note that the full frame sensor performs better than the APS-C sensor, even though its pixels are not bigger.””

“Most of the noise you encounter wasn’t contributed by your camera: it was shot noise from the light you captured and is primarily dictated by shutter speed, f-number and sensor size. Not pixel count.”

“Ultimately, though, we’re hoping that with this information you can understand why some cameras produce less noisy images: larger sensors tend to allow more light capture, which minimizes shot noise.”

Queste “rivelazioni” fornite dal noto sito DPReview, con una conversione a 180°, in due ponderosi articoli pubblicati nel maggio corrente “What’s that noise? Part one: Shedding some light on the sources of noise” e “Sources of noise part two: Electronic Noise” dovrebbero mettere la parola fine alla lunga disputa su “più pixel più rumore” iniziata proprio da loro più di 10 anni fa e sostenuta da eminenti teorici con trattazioni quantistiche e curve gaussiane che si limitavano però a guardare il singolo pixel e non l’insieme di essi che compone una foto e a scrutare le immagini al 100 % sul monitor non rendendosi conto che così quelle con più pixel vengono ingrandite di più (ma quelle provenienti da un sensore più grande sono otticamente meno ingrandite di quelle provenienti da uno più piccolo), mentre in realtà le immagini dovrebbero essere osservate allo stesso ingrandimento, quindi per intero contenute in un monitor o tv oppure stampate allo stesso formato.

Sono piccole soddisfazioni ma ricordo che articoli che spiegavano ciò li avevo scritti nel 2009 e 2010:
Sfatiamo i miti: più pixel più rumore” e “Sfatiamo i miti. più pixel più rumore 2“. Sono forse da aggiornare e migliorare, ero agli inizi con il blog, ma già allora vaveo capito il problema.

10 pensieri riguardo “Come finisce una leggenda”

  1. Una storia incredibile e bellissima che seguiva l era dei dipinti e prima ancora degli affreschi fino ad arrivare a quei tratti tracciati sulle rocce. Per l uomo e’ sempre stato importante immortalare e fermare il tempo di un preciso istante. Una leggenda che mi fa ancora sognare in ogni click.

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  2. Che dire… c’è sempre speranza per tutti sul cammino di “conversione” (non necessariamente facendo uso di appositi softwares…).

    L’importante è essere “aperti alla luce”. Meglio se “ob(b)ietivi” ;-)… anzi, diciamo che un ob(b)iettivo bisogna averlo!
    Diversamente non cattureremo né luce, né immagine alcuna 😐

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  3. Riguardo la “magia” della foto, mi pare di aver letto che non ricordo che tribù aborigena non amava farsi fotografare temendo l’ “infernale aggeggio” potesse rubare loro lo spirito 😉

    Lo scrivo senza alcun sarcasmo…

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    1. Bariom,
      non solo gli aborigeni la pensano così, ce ne sono alcuni che sembra pensino allo stesso modo pure da noi (e, si badi bene, non mi riferisco ai migranti).
      Ciao, Francesco

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  4. Eh… qui tutto sembra evolversi: dalle incisioni sulla pietra siamo arrivati ai fatidici pixel. Mi sono dovuto adeguare anche io al digitale ma, chissà perchè, io preferirei ancora le buone e vecchie pellicole, quando usavo la mia Nikon F90X: da una diapositiva potevo proiettare immagini anche di 300×200 cm e non c’erano storie di sorta, adesso se prendo una immagine anche di 16 Megapixel e la proietto per farne un cartellone di 300×200 cm inizio a vedere quei maledetti “granini” che interferiscono sull’immagine, proprio i famosi pixel che, alla misura scattata sono infinitamente piccoli, ma, se viene effettuato un ingrandimento di un certo tipo, anche i “quadrettini” diventano quadrettoni e se cerco di ricampionare l’immagine, chi se le reinventa le sfumature? Mah… Secondo voi tra 50 anni ci sarà qualcuno che inventerà i pixel da 1 nanometro? Per adesso ho visto, da quello che offre il mercato, arrivare a 0,13 micrometri.

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    1. Paolo,
      c’è anche da dire che le incisioni su pietra durano migliaia di anni, le stampe su carta qualche centinaio, ma i bit sull’had disk quanto dureranno.
      Riguardo ai pixel che vedi proiettando è probabile che siano quelli del proiettore, che presumo sia Full HD, cioè 1920×1080 punti, e non quelli del sensore.
      Infine il limite delle dimensioni dei pixel è dettato dalla lunghezza d’onda della luce, da 380 a 760 nanometri, quindi i pixel da 1 nanometro sono esclusi.
      Ciao, Francesco

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      1. Già, Francesco, proprio così. Eppure sembra che in ogni microsecondo di questa epoca esca qualche novità di sorta. Certo, i pixel non possono fuoriuscire dall’intervallo di gamma d’onda così come hai detto tu, quindi il famoso nanometro di cui parli sarà impossibile, ma qui sembra che ogni giorno che passa ci sia qualcuno che compie un miracolo fotografico, vedasi l’ultima (E pessima) Nikon con addirittura un superzoom da 83 ingrandimenti. Bella opzione adescatrice del pubblico inseperto, vero? Per il proiettore invece ti contraddico: quello a cui mi riferivo è il proiettore che viene usato per stampare cartelloni pubblicitari anche grandi, come quelli che si vedono di solito sui graticci dei cantieri di costruzione o ristrutturazione. Quello che mi hanno fatto vedere dovrebbe essere un invidiabile “6K”. Già con una proiezione da 70×50 qualche piccolissima granulosità si iniziava a notare, ma andando su misure tipo un 300×200… AHI! Allora un rimedio c’è: invece del proiettore vengono usati degli scanner che riproducono l’immagine ingrandita a piacimento, ma anche qui la retinatura di stampa fa diventare, come dire… “disordinata” la sfumatura di ogni tonalità. Insomma, sarò eccessivamente conservatore, ma la pellicola è stata e sarà ancora il dispositivo che reputo il migliore.

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